Il cheratocono è una malattia degenerativa non infiammatoria della cornea legata ad una debolezza della struttura corneale che progressivamente tende a sfiancarsi, estroflettersi ed assottigliarsi all’apice assumendo la forma di un cono; si manifesta di solito nell’ adolescenza o nella giovinezza (tra i 12 ed i 30anni) ed è generalmente bilaterale; provoca una consistente riduzione visiva per la comparsa di un elevato astigmatismo miopico irregolare quasi sempre contro regola. L’ incidenza riportata in letteratura è di 1 caso ogni 2000 persone nella popolazione generale, anche se, secondo statistiche più recenti, tali valori appaiono significativamente sottostimati.

Qual è la causa ?

Numerose teorie sono state proposte per spiegarne lo sviluppo, ma esse costituiscono solo inadeguati tentativi di risolvere il problema che rimane tuttora insoluto. In ogni modo le teorie eziopatogenetiche principali sono quattro e cioè quella che considera il cheratocono come un’alterazione di sviluppo ( non sono rare le anomalie congenite associate), quella che lo ritiene di natura degenerativa (mesenchimopatia), quella che lo suppone secondario ad un processo morboso infettivo (di origine virale) o ad uno stato di denutrizione,e quella infine che lo collega con disturbi endocrini (tiroide, timo,ecc.). Che il cheratocono posso essere una distrofia primitiva è suggerito dall’incidenza familiare, peraltro rara ( forma ereditaria con carattere recessivo e talora dominante irregolare).

Come evolve ?

Il cheratocono è quasi sempre bilaterale; quando interessa un occhio solo, nella maggioranza dei casi si ha, nell’occhio controlaterale, un’asimmetria dell’astigmatismo che denuncia una deformazione conoide minima.

Comunemente si manifesta verso la pubertà, diventando evidente, soprattutto nelle ragazze (2/3 dei casi) tra i 10 ed i 16 anni. ha un’evoluzione soggettiva, e determina all’inizio un peggioramento della qualità visiva, negli stadi più avanzati opacizzazione e in alcuni casi anche la perforazione della cornea. Di regola l’ectasia progredisce lentamente e gradualmente per 7-8 anni e poi tende ad arrestarsi; altre volte diviene stazionaria per un certo periodo per poi nuovamente attivarsi; altre volte ancora presenta recidive acute.

Per meglio capire cosa succede a livello della struttura corneale bisogna ricordare l’anatomia della cornea che è costituita da 5 strati che, partendo dall’esterno, sono rappresentati dall’epitelio,membrana di Bowman,stroma, membrana di Descemet ed endotelio. L’evento dell’ectasia acuta è dovuto alla rottura della membrana di Descemet e dell’endotelio, cioè degli strati più interni, che comporta un immediato opacamento della cornea per imbibizione da parte dell’umore acqueo; in breve tempo l’endotelio si risistema e la cornea riprende il suo aspetto originale. Nei casi avanzati, cicatrici lineari superficiali ed irregolari appaiono all’apice del cono e corrispondono alle rotture della membrana di Bowman e sono responsabili della riduzione visiva.

L’ectasia o meglio lo sfiancamento del tessuto è di solito limitata all’area centrale della cornea e l’apice risulta eccentrico, spostato cioè verso il basso e nasalmente; solo di rado l’ectasia coinvolge l’intera cornea dando luogo ad una specie di cheratoglobo.

Il cheratocono frusto non è raro ed è caratterizzato dalla presenza di un astigmatismo asimmetrico; è di solito stazionario e tale può rimanere fino alla tarda età; solo occasionalmente può progredire e con estrema lentezza.

Quali sono i sintomi ?

I sintomi sono rappresentati dalla fotofobia e da una progressiva e significativa riduzione della qualità visiva con distorsione dell’immagine sostenuta dapprima dall’aumento dell’astigmatismo miopico (che diviene sempre più irregolare) e poi dallo sviluppo delle opacità del cono; siccome l’apice del cono è eccentrico, il paziente utilizza la porzione centrale risparmiata e tende ad evitare le distorsioni maggiori delle immagini e i circoli di diffusione, fessurando la rima palpebrale.

Come si fa la diagnosi ?

Un tempo l’oculista faceva diagnosi di cheratocono basandosi sull’asimmetria, irregolarità e slivellamenti delle mire dell’oftalmometro, uno strumento comunemente usato per valutare la regolarità e il raggio di curvatura della cornea; si teneva anche conto delle irregolarità delle ombre nel campo pupillare nel corso di un esame detto schiascopia che veniva e viene ancora fatto per valutare obiettivamente la refrazione oculare.

Dalla metà degli anni novanta, invece, la diagnosi è stata rivoluzionata dall’avvento di un esame detto topografia corneale che utilizza uno strumento gestito da un computer che proietta degli anelli concentrici sulla superficie corneale analizzandone l’immagine riflessa. Ciò consente anzitutto di fare diagnosi precoci un tempo impensabili ma soprattutto di monitorare nel tempo l’evoluzione del cheratocono e di conseguenza scegliere i presidi terapeutici più adeguati.

Alla fine degli anni novanta è comparso uno strumento ancora più sofisticato detto tomografo corneale computerizzato a scansione (ORBSCAN)

Come si cura ?

La cura dipende dallo stadio della malattia. Gli stadi di evoluzione sono quattro.

Nel primo stadio, trovandosi di fronte solo ad una leggera iniziale deformazione della cornea può essere sufficiente anche un semplice paio di occhiali, meglio se aberrometrici.

Nel secondo e nel terzo stadio lo sfiancamento della cornea è maggiore per cui gli occhiali possono non essere sufficienti e bisogna ricorrere quindi all’uso di lenti corneali a contatto o ad interventi chirurgici non molto invasivi come:

- il cross-linking: è l’ultima grande novità che di sicuro sconvolgerà i criteri di terapia adoperati sino ad ora; viene utilizzato per bloccare il cheratocono e consiste nella fotopolimerizzazione delle fibrille dello stroma corneale, alterato in questa malattia, con lo scopo di aumentarne la rigidità e la resistenza allo sfiancamento della cornea; ciò si ottiene grazie all’azione combinata di una sostanza fotosensibilizzante (riboflavina o vitamina B2) e fotoassorbente con l’irraggiamento mediante luce ultravioletta da illuminatore in stato solido di tipo UVA.

- l’inserzione di anelli intrastromali , elementi di materiale sintetico che inseriti nello spessore della cornea tendono a regolarizzarne la sua superficie migliorando la capacità visiva

- la cheratoplastica lamellare in cui le lamelle malate della cornea, in superficie ed in media profondità, vengono sostituite da tessuto sano proveniente da donatore;

Nel quarto stadio, trovandosi di fronte ad una esagerata deformazione della cornea con concomitante suo assottigliamento, perdita di trasparenza e drastica riduzione del visus, si può pensare ad un trapianto corneale a tutto spessore (cheratoplastica perforante) in cui gli 8- 9 mm centrali della cornea vengono sostituiti con un tessuto proveniente da donatore.

L'occhio è l'organo di senso che ci permette di vedere e la sua struttura ricorda quella di una macchina fotografica.
Quando fissiamo un oggetto, la luce che da esso proviene entra nei nostri occhi, attraversa una serie di lenti naturali (i mezzi diottrici), che sono in sequenza la cornea, l'umor acqueo, il cristallino ed il corpo vitreo e che nella macchina fotografica corrispondono alle lenti dell'obiettivo, e va ad "impressionare" la retina (pellicola).
La retina eccitata dalla luce che la colpisce trasmette informazioni sotto forma di impulsi elettrici al cervello attraverso il nervo ottico.


L’occhio è contenuto nella cavità orbitaria dove è mantenuto nella sua posizione naturale da una membrana (Fascia di Tenone) che, disposta in senso frontale, avvolge la metà posteriore del bulbo. Tale fascia, pur esercitando prevalentemente una funzione di sostegno, forma una specie di setto che divide l’orbita in due aree:

  • quella posteriore che contiene essenzialmente vasi, nervi, ed una quantità variabile di tessuto adiposo;
  • quella anteriore che, oltre la fascia, contiene il bulbo oculare, la congiuntiva, l’apparecchio lacrimale e le palpebre

 

Segmento anteriore del bulbo

Il segmento anteriore del bulbo comprende: la cornea, la camera anteriore, l’iride, la camera posteriore, il cristallino e la regione irido - ciliare.


La cornea

La cornea è una membrana trasparente priva di vasi ma ricca di fibre nervose. Essa è bagnata continuamente dal film lacrimale che aderisce alla sua superficie anteriore e nutrita dall'umore acqueo cui trae contatti nella sua superficie posteriore. L'interfaccia film lacrimale-superficie corneale costituisce la lente convergente più potente dell'occhio umano, con un potere diottrico di circa 43 diottrie.
Il raggio di curvatura della cornea, essendo più piccolo (7 - 8 mm.) di quello della sclera (11 - 12 mm.), le fa assumere una convessità anteriore più appariscente rispetto alla sclera. In periferia la cornea è incastrata sotto la sclera come un vetro d’orologio.
La cornea ha uno spessore di circa 550 micron ed è composta dall'esterno all'interno da 5 strati:

  1. un epitelio pavimentoso (stratificato)
  2. la membrana di Bowmann
  3. lo Stroma
  4. la membrana di Descemet
  5. l'endotelio

La stabilità del film lacrimale e la trasparenza della cornea sono essenziali per la visione. Trauma od infezioni possono causare la formazione di opacità permanenti (leucomi) di questa lente naturale, che perdendo la trasparenza limita la visione.

 

Camera anteriore

E' un cavità contenente umore acqueo delimitata anteriormente dalla cornea e posteriormente dal corpo ciliare, per un breve tratto dall’iride nella sua interezza, e dal cristallino per quella sua porzione che si affaccia nel forame pupillare.
È profonda al centro circa 3,4mm e si appiattisce verso la periferia con uno stretto seno detto angolo della camera anteriore.
L’angolo della camera anteriore, costituisce insieme alle strutture ad esso limitrofe (rete trabecolare, cnale di Schlemm, vene acquose, anello di Schwalbe, sperone sclerale) la cosiddetta regione dell’angolo camerulare, sede dei delicati processi di drenaggio dell’umore acqueo.

 

 

Iride

L’iride è una membrana circolare posta, come un diaframma, tra la camera anteriore ed il cristallino. Ha un foro centrale, la pupilla che, dilatandosi o restringendosi, regola l’accesso del flusso luminoso all’interno dell’occhio.

Oltre che per il riflesso alla luce, la muscolatura dell’iride si contrae anche per:

  • Un riflesso proveniente dalla corteccia cerebrale (contrazione della accomodazione, cioè per la messa a fuoco degli oggetti visibili);
  • Un riflesso che, proveniente dal simpatico, presiede alla dilatazione non visuale dell’iride, per dolore o altra azione centripeta intensa (midriasi).

Nei traumi o nelle affezioni spontanee del segmento toraco-cervicale della colonna vertebrale, le reazioni dell’iride permettono di localizzare la sede della lesione.
L’iride è composta da uno stroma, un foglietto pigmentato posteriore, da vasi e da 2 muscoli: il muscolo radiale (dilatatore) ed il muscolo sfintere (costrittore) dell'iride. Può essere chiara (dal blu al verde) o bruna (dal marrone al nero) ma in realtà la sua colorazione dipende sia dalla quantità di pigmento che da fenomeni ottici di riflessione e di diffrazione della luce nello stroma irideo.
Nelle iridi chiare poco pigmentate la luce passa fino agli strati profondi dove viene riflessa assumendo un colore chiaro. Al contrario nelle iridi brune, ricche di pigmento, la luce non penetra fino agli strati profondi e non viene riflessa né diffratta.

 

Camera posteriore

E' una cavità notevolmente più piccola della camera anteriore, e contiene anch’essa umore acqueo.
Ha una forma anulare così delimitata: anteriormente dall’iride, lateralmente dal corpo ciliare, posteriormente dalle fibre zonulari e dall’equatore lenticolare.
Dal lato mediale essa si continua restringendosi progressivamente nello spazio irido-lenticolare e attraverso questo ultimo comunica con la camera anteriore.

Cristallino

E’ una lente convergente biconvessa di potere variabile situata dietro l’iride e davanti all’umor vitreo.
L'occhio mette a fuoco a distanze variabili mediante una strategia peculiare: il cristallino ha infatti la capacità di modificare continuamente la sua forma e di variare la sua curvatura in modo da aumentare o diminuire il suo potere di convergenza. Questo processo dinamico noto con il nome di accomodazione è regolato da un anello di fibre muscolari disposte intorno al cristallino chiamato corpo ciliare. Così quando l'occhio guarda un oggetto in lontananza il cristallino si appiattisce e diminuisce la sua curvatura, al contrario quando guarda un oggetto vicino diventa più convesso ed aumenta la sua curvatura.
Un soggetto giovane può volontariamente far variare il potere d’accomodazione da 18 a 32 diottrie.
Con l’avanzare dell’età, il cristallino tende a diminuire la sua capacità mi modificare la propria curvatura ed il suo potere d’accomodazione si riduce dalle 14 diottrie della prima infanzia alle 2 diottrie dell’età dei 45 - 50 anni (presbiopia).

 

Segmento posteriore del bulbo

Il segmento posteriore dell’occhio comprende:

  • le membrane contenenti: sclera, corioide, retina;
  • il corpo vitreo.


Sclera

La sclera, il cosiddetto bianco dell’occhio, è una membrana fibrosa, opaca, formante la tunica esterna del bulbo oculare, ben visibile sotto la trasparente congiuntiva.. Essa è attraversata da nervi e vasi, mentre, al polo posteriore a livello della cosiddetta lamina cribosa, consente il passaggio delle fibre del nervo ottico.

La sclera, costituita essenzialmente da fasci fibrosi variamente incrociati, è l’involucro più robusto del bulbo ma proprio per la sua scarsa elasticità in caso di trauma contusivo diretto o indiretto (come un pugno), può rompersi specie nei punti di minore resistenza (regione equatoriale).

La coroide

La coroide o corioidea è la tunica vascolare del bulbo, interposta tra la sclera e la retina, poco elastica e di consistenza debole tanto che nei traumi contusivi può lacerarsi, preferibilmente nella zona equatoriale tra il polo posteriore e l’equatore.
Essa è costituita da strati di vasi sovrapposti (strato dei grossi vasi coroideali e strato della coriocapillare) e dalla membrana di Bruch a contatto con l’epitelio pigmentato retinico (EPR).
La sua funzione è quella di nutrire e ossigenare l’EPR, gli strati retinici più esterni (in particolare i fotorecettori) attraverso la membrana di Bruch, come pure di partecipare all’irrorazione del nervo ottico.

 

 

La retina

La retina, che rappresenta l’equivalente della pellicola fotografica, riveste la superficie interna del globo oculare. Dopo aver infatti attraversato la cornea, la camera anteriore, la pupilla, il cristallino ed il vitreo, i raggi luminosi vengono fatti convergere sulla retina ed in particolare in quella piccolissima area chiamata fovea: una struttura altamente specializzata che presiede alla massima acuità visiva per lontano e per vicino, alla percezione dei colori e alla sensibilità al contrasto.
Al polo posteriore, un po’ spostato verso l’interno, è ben visibile la papilla ottica che corrisponde al punto in cui il nervo ottico si continua con la retina.

Nella retina avvengono i meccanismi più complessi della visione.
La luce passa l’intero spessore della retina (vedi figura strati della retina) e colpisce immediatamente i fotorecettori. Questi sono essenzialmente di due tipi:

  • I coni, più corti, localizzati quali esclusivamente nella parte centrale della retina (area maculare) e sono specializzati alla visione in condizioni di alta luminosità, traggono contatti diretti con uno strato di cellule neuronali deputate alla trasmissione dell'impulso visivo. Si viene a creare, quindi, una trasmissione di uno a uno, cioè un cono scarica il suo impulso, trae contatto con una sola cellula nervosa. Tale forma di collegamento è altamente strutturato e fa si che i coni sia deputati alla visione diurna, a quella dei colori e del contrasto.
  • I bastoncelli, di forma più allungata, sono molto più numerosi dei coni e risiedono maggiormente nella parte periferica della retina. Essi sono più specializzati a raccogliere stimoli luminosi di bassa intensità e quindi sfruttati nella visione in condizioni di scarsa luminosità. Più bastoncelli traggono contatti, scaricano il proprio impulso, con una solo cellulale neuronale sottostante venendo a creare un collegamento di molti a una. Ne consegue che lo stimolo generato non è così strutturato e preciso come quello dei coni, infatti l’acuità visiva cala notevolmente in condizioni di scarsa luminosità.

Nella retina vanno distinti due strati:

  • strato esterno detto epitelio pigmentato (EPR): un vero e proprio schermo alle luce alla quale impedisce di propagarsi agli strati sottostanti. Oltre ad avere questo effetto schermo è di fondamentale importanza negli scambi metabolici tra i fotorecettori (coni e bastoncelli) e la coroide sottostante garantendo un buon funzionamento del complesso equilibrio retinico;
  • strato interno detto retina nervosa: che si articola in 3 strati fondamentali: cellule dei fotorecettori (coni e bastoncelli), cellule bipolari, cellule ganglionari o multipolari.



Il Corpo Vitreo


E’ una sostanza gelatinosa, amorfa e trasparente che occupa tutto lo spazio interposto tra la retina e la faccia posteriore del cristallino, mantiene la forma e la consistenza del bulbo oculare.
La sua trasparenza è importante per una visione nitida a tutte le distante, infatti qualora si formassero degli addensamenti si potranno percepire delle macchioline scure (le cosiddette “moschine volanti”).
Con l'invecchiamento il vitreo perde la sua consistenza, si distacca e fluttua nella cavità vitreale. I sintomi del distacco acuto del vitreo sono la comparsa di corpi mobili spesso associati a lampi di luce. In questi casi è imperativo un esame del fondo dell'occhio mirato alla ricerca di eventuali rotture retiniche che, in certi casi, possono condurre al distacco di retina.

Il sistema visivo completa il proprio sviluppo nei primi anni di vita del bambino, grazie alla progressiva maturazione delle strutture che collegano occhio e cervello. Un corretto sviluppo richiede immagini nitide da entrambi gli occhi che, inoltre, devono essere perfettamente sincronizzati nei loro movimenti.

Qualsiasi ostacolo alla visione che si presenti in questo periodo determina un arresto della maturazione del senso della vista, influendo talvolta sul normale sviluppo psichico e fisico del bambino. Sovente i danni che si verificano all’apparato oculare nei primi dodici mesi di età provocano deficit visivi importanti; un trattamento tempestivo consentirà di far recuperare le potenzialità perdute. Superata l’età pediatrica ci si dovrà accontentare di mediocri o scarsi recuperi, perché l’apparato visivo perde la plasticità di cui è dotato nei primi anni di vita.

 

Sistema Sensoriale e Sistema Motorio

La nostra capacità visiva è dovuta a due sistemi distinti ma profondamente legati: il sistema sensoriale ed il sistema motorio.
Il sistema sensoriale è formato dalla retina, dal nervo ottico e da tutte le vie nervose che trasmettono gli impulsi elettrici al cervello per la successiva elaborazione in immagini. In particolare, la retina, tessuto nervoso che riveste l’interno del bulbo oculare e che è in grado di trasformare uno stimolo luminoso in uno elettrico, è una struttura molto complessa, le cui singole parti sono dotate di un’elevata specializzazione funzionale.

Il sistema motorio è costituito da muscoli esterni al bulbo che muovono l’occhio, da quelli interni che permettono la messa a fuoco delle immagini, dai nervi e dai nuclei encefalici che ne comandano i movimenti e da tutti quei tessuti che contengono e fanno da supporto al bulbo oculare permettendone la rotazione. L’occhio viene mosso in tutte le direzioni possibili grazie all’azione di sei muscoli (quattro retti e due obliqui).

I quattro muscoli retti nascono all’apice dell’orbita e arrivano al bulbo seguendo una traiettoria diritta; sono denominati in base alla posizione di attacco sulla sclera (retto superiore, retto inferiore, retto interno e retto esterno). Sul bulbo oculare si inseriscono anche due muscoli obliqui (obliquo superiore e obliquo inferiore), così chiamati per la loro particolare traiettoria all’interno dell’orbita.

Poiché gli occhi sono fatti per muoversi insieme, quando si attiva un muscolo di un occhio contemporaneamente si attiva un determinato muscolo dell’altro occhio (chiamato antagonista controlaterale). Se per esempio si vuole guardare verso destra si contraggono simultaneamente il muscolo retto interno dell’occhio sinistro e il muscolo retto esterno dell’occhio destro.

Il sistema motorio è condizionato da quello sensoriale che gli trasmette le necessarie informazioni per correggere sia la messa a fuoco sia la posizione dei bulbi oculari, in modo tale che l’oggetto sotto osservazione sia sempre fissato dalla fovea (l’area retinica responsabile dell’acutezza visiva) dei due occhi. Allo stesso tempo, il sistema sensoriale può svolgere le sue funzioni solo a condizione che il sistema motorio operi correttamente.
 

Punti Retinici e Visione Binoculare  

FOVEA l'asse visivo è la linea che unisce la fovea retinica con la mira considerata

Ogni punto della retina ha una precisa direzione visiva: quando una immagine cade su un determinato punto retinico viene localizzata dal cervello sempre nella stessa direzione visiva. La fovea, la zona di massima acuità visiva, ha come direzione visiva principale quella del dritto-davanti a sé che corrisponde al centro del campo visivo.

Quando l’immagine di uno stesso oggetto cade sulle due fovee produce un’unica sensazione che il cervello localizza dritto davanti a sé. Ogni punto retinico (e non solo la fovea) ha un punto retinico corrispondente nell’altro occhio che ha lo stesso valore localizzativo. La visione binoculare è quel meccanismo sensoriale che consente, guardando con due occhi, di vedere sempre una sola immagine.

Una perfetta collaborazione dei muscoli fa sì che gli occhi siano sempre allineati tra loro; in questo modo le immagini stimolano i punti retinici corrispondenti. In condizioni normali gli assi visivi, le linee immaginarie che uniscono l’oggetto con le fovee, convergono su un unico punto. Il cervello riceve così l’immagine di un oggetto, da ciascun occhio, e le unisce in un’unica immagine.

Questa capacità viene chiamata fusione. La fusione funziona solo se le immagini inviate al cervello proven-gono da punti retinici corrispondenti e se sono uguali per dimensioni e nitidezza. Tra i due occhi, però, esiste una certa distanza: quindi uno stesso oggetto viene visto da due angolazioni lievemente diverse, per cui le due immagini cadono su due punti retinici non esattamente cor-rispondenti.

Anche in questo caso il cervello è in grado di fondere ugualmente le immagini, sfruttando le loro lievi differenze per capirne l’esatta collocazione nello spazio. Il cervello riesce, così, ad elaborare un’ulteriore informazione, cioè la visione tridimensionale (stereoscopica). Si percepisce una sola immagine non solo quando si guarda dritto davanti, ma anche quando si sposta lo sguardo nelle diverse direzioni: un meccanismo di coordinamento tra la funzione sensoriale e quella motoria permette di avere sempre una visione binoculare singola in tutte le direzioni dello sguardo.

Quando l’equilibrio tra le due funzioni viene per qualche motivo a mancare, le immagini stimolano punti retinici totalmente non corrispondenti; il cervello percepisce due immagini diverse per ciascun occhio senza riuscire a fonderle: in questo caso si crea:

  • diplopia (visione doppia: lo stesso oggetto è percepito in due luoghi diversi)
  • confusione (due oggetti diversi sono percepiti nello stesso luogo)
  • in alcuni casi (soprattutto nei bambini), soppressione di uno dei due.

Il cervello percepisce immagini differenti ogni volta che si verifica un impedimento alla loro conduzione e cioè quando vi è un difetto refrattivo, opacità corneali, opacità del cristallino, ptosi palpebrali, nistagmo, strabismo, patologie legate alla retina o alle vie ottiche, ecc.
 

Che cosa è lo Strabismo
 

 

Lo strabismo è una deviazione di uno o entrambi gli occhi rispetto al punto di fissazione (gli assi visivi non sono, quindi, diretti verso lo stesso punto dello spazio) e viene distinto a seconda della direzione di tale deviazione:

  • convergente (l’occhio è deviato verso l’interno)
  • divergente (l’occhio è deviato verso l’esterno)
  • verticale (l’occhio è deviato verso l’alto o il basso)

Lo strabismo, inoltre, può essere congenito, ad insorgenza precoce o tardiva, costante o intermittente (la deviazione è presente solo in alcuni momenti della giornata), monolaterale (interessa sempre e solo un occhio) o alternante (interessa i due occhi alternativamente).
 

Le Cause

Lo strabismo può essere legato a difetti visivi o a patologie oculari piuttosto serie. Tra i principali fattori si ricordano:

  • ereditarietà
  • anomalie oculari (cataratta, ptosi, ecc.)
  • difetti rifrattivi
  • paresi di origine cerebrale
  • paresi di uno dei muscoli oculari

Nel bambino lo strabismo può essere causato da vizi refrattivi non corretti, l’ipermetropia ad esempio determina frequentemente strabismo convergente. Altra comune causa di strabismo è la visione ridotta in un occhio (ambliopia) che impedisce la normale collaborazione tra i due occhi, generando di solito uno strabismo divergente. A volte, inoltre, lo strabismo compare fin dalla nascita (congenito) o nei primi mesi di vita non legato ad altre alterazioni oculari. Nell’adulto l’improvvisa comparsa di forme di strabismo va normalmente collegata a fenomeni di paresi dei muscoli oculomotori o interpretata come manifestazione della presenza di uno strabismo latente scompensatosi.
 

Gli Effetti sulla Visione

Il mancato allineamento dei due occhi determina una stimolazione di punti retinici non corrispondenti. L’occhio deviato porta al cervello un’immagine diversa rispetto a quella dell’altro occhio perché la sua fovea fissa un oggetto differente, determinando così una fastidiosissima visione doppia. Il cervello tende, quindi, ad escludere, o per meglio dire a sopprimere, le informazioni provenienti dall’occhio strabico perché creano confusione.

Se la soppressione è costante, l’occhio deviato non viene utilizzato, non sviluppa o perde l’acuità visiva, fino a generare un’ambliopia (forma duratura di debolezza visiva per cui un occhio, sebbene anatomicamente normale, non è in grado di vedere bene), che col tempo può diventare irreversibile. L’ambliopia può insorgere anche in presenza di microstrabismo, cioè quando l’angolo di deviazione è molto piccolo: in questo caso gli oggetti non vengono visti doppi, anzi il paziente presenta una fusione binoculare ed una seppur rudimentale stereopsi, grazie all’instaurarsi di una corrispondenza retinica anomala, una sorta di collaborazione tra la fovea dell’occhio sano ed una zona della retina dell’occhio deviato molto vicina alla fovea, ma con capacità visiva inferiore.

Nel bambino al di sotto di sei anni, quanto più a lungo l’abitudine alla soppressione rimane ignorata, tanto più diventa difficile riportare alla normalità l’acutezza visiva dell’occhio strabico. La prevenzione dell’ambliopia è sicuramente il motivo più valido per un trattamento tempestivo del bambino strabico. Nell’adulto invece, l’insorgenza di uno strabismo provoca una visione doppia (= diplopia) in quanto il cervello, abituato ad utilizzare le immagini provenienti da entrambi gli occhi, non è in grado di eliminare l’immagine dell’occhio deviato.
 

Ambliopia

L’ambliopia, più comunemente nota come occhio pigro, è una condizione caratterizzata da una ridotta acuità visiva, in genere monolaterale, che può essere causata da diverse patologie oculari. L’occhio ambliope viene spesso definito pigro perché non viene normalmente utilizzato dal cervello e quindi ha una capacità visiva che in realtà non sfrutta. L’ambliopia si può verificare nello strabismo, in presenza di vizi refrattivi molto elevati oppure fortemente diversi tra i due occhi (anisometropia) e infine in presenza di ostacoli sull’asse visivo, (cataratta congenita, ptosi palpebrale, ecc.) che impediscono allo stimolo luminoso di arrivare sulla retina.
 

Tipi di Strabismo

Come abbiamo visto, lo strabismo non è solo un problema di carattere estetico, ma soprattutto funzionale: è un’alterazione della visione binoculare causata da una lesione dell’apparato motore, lesione che può essere di natura paralitica o di natura non paralitica.

  • Lo strabismo paralitico è dovuto a inefficienza di un muscolo oculare in seguito a lesione nervosa, infiammatoria o traumatica. Cause di paresi possono essere dunque traumi cranici, malattie vascolari, malattie infettive, degenerative del sistema nervoso centrale, diabete. Gli occhi possono apparire in posizione corretta o presentare uno strabismo che si accentua nella posizione in cui dovrebbe agire il muscolo paralizzato. L’angolo di deviazione è massimo nel campo di azione del muscolo difettoso in quanto all’impossibiltàdi muovere l’occhio paretico corri-sponde una risposta superiore alla norma del muscolo corrispondente nell’altro occhio. Il sintomo principale di uno strabismo paralitico è la diplopia, spesso accompagnata da vertigini, difficoltà di orientamento e tendenza ad inclinare la testa in senso opposto alla deviazione.
  • Gli strabismi non paralitici dipendono da anomalie dei fattori nervosi che regolano la posizione degli occhi: ogni muscolo preso singolarmente è normalmente funzionante, ma viene alterato l’equilibrio (detto ortoforia) che regge il meccanismo della visione binoculare. Se quest’alterazione non è costante e si manifesta solo in determinate condizioni si è in presenza di eteroforia o strabismo latente, se invece l’alterazione è ben visibile in qualsiasi condizione si è in presenza di eterotropia o strabismo concomitante manifesto.
     
  • Nell’eteroforia o strabismo latente la deviazione viene mantenuta latente dal meccanismo della fusione: la deviazione oculare è quindi evidente solo quando viene interrotta la fusione o quando viene a mancare lo sforzo che il soggetto deve compiere. Per mantenere la fusione i sintomi sono legati allo sforzo e consistono in cefalea, stanchezza visiva che può accentuarsi nella visione da vicino, bruciore, fotofobia; talvolta si evidenzia l’inclinazione del capo e l’aggrottamento delle sopracciglia.
  • L’eterotropia o strabismo concomitante è una deviazione degli occhi non corretta dal meccanismo della fusione. In questo tipo di strabismo la deviazione è sempre presente e manifesta e l’angolo di deviazione non cambia ovunque si guardi. A differenza dello strabismo paralitico, non è presente la diplopia perché il paziente riesce a eliminare l’immagine dell’occhio deviato (soppressione). Esistono tre tipi di strabismo concomitante: accomodativo, tonico e misto.Alla base dello strabismo accomodativo vi è un’alterazione del rapporto convergenza/accomodazione, generalmente causata da un’ipermetropia non corretta: il bambino ipermetrope tende a compensare il difetto di rifrazione accentuando l’accomodazione, scatenando così lo strabismo.Alla base dello strabismo tonico l’alterazione del rapporto convergenza/accomodazione è, invece, a favore della convergenza che viene aumentata per un difetto innervazionale, muscolare o orbitario. Nello strabismo misto coesistono sia la componente accomodativa sia quella tonica.Lo strabismo concomitante non dà sintomi particolari in quanto intervengono meccanismi di compensazione diversi a seconda dell’età del paziente (soppressione, alternanza).

Il Trattamento

Il trattamento dello strabismo è finalizzato, per prima cosa, al recupero visivo e funzionale di entrambi gli occhi. Solo quando si sarà ottenuto un buon visus o l’alternanza di visione dei due occhi, si potrà passare alla fase successiva, cioè all’eventuale riallineamento dei bulbi oculari. La terapia si basa sulla correzione ottica, sulla terapia anti-ambliopica e sull’eventuale chirurgia. Il trattamento ottico è fondamentale: le lenti devono essere prescritte al più presto possibile, previa determinazione del vizio di refrazione, dopo opportuna cicloplegia.

Le lenti hanno effetti molteplici: migliorare l’acutezza visiva, influenzare il rapporto accomodazione-convergenza, diminuire e talora annullare la deviazione oculare. Anche la terapia antiambliopica deve essere iniziata al più presto e nel modo migliore, a seconda del caso, ricorrendo a vari mezzi: occlusione diretta, con bende adesive o con filtri semitrasparenti posti sugli occhiali; penalizzazione ottica, con lenti più forti o più deboli poste davanti ad un occhio; pena-lizzazione farmacologia con cicloplegico instillato monocularmente; con settori, filtri a copertura parziale delle lenti; con lenti a contatto occlusive; con stimolazioni visive che sfruttano i potenziali evocati visivi (PEV).

La Chirurgia

La chirurgia dello strabismo mira al recupero della funzione visiva unitamente alla scomparsa o alla riduzione di una deviazione che persiste nonostante trattamenti ottici assidui. L’intervento chirurgico, praticato in anestesia generale nei bambini e in anestesia locale negli adulti, consente di intervenire sui muscoli dell’occhio, in modo da mettere gli occhi il più possibile in asse: praticando un’incisione sulla congiuntiva, il chirurgo strabologo può accedere ai muscoli oculari e intervenire su di essi accorciandoli o modificandone la posizione dell’inserzione sul bulbo. L’intervento è totalmente esterno al bulbo oculare e perciò non dà modificazione né sul visus né sulla refrazione.

L’intervento di “Trapianto di Cornea” o Cheratoplastica è rivolto a tutte le patologie della cornea che riducono l’acuità visiva o per un’opacità del tessuto (cicatrici post-infettive o post-traumatiche, distrofie o degenerazioni corneali) o per una sua distorsione (cheratocono, traumi). L’intervento consiste nella sostituzione del tessuto danneggiato con una cornea da donatore  proveniente da una Banca degli Occhi, e viene eseguito in anestesia generale o locale. Il nuovo lembo corneale, ripristinando la trasparenza della cornea, può consentire al paziente di recuperare la vista.

La tecnica chirurgica può variare a seconda che la patologia comprometta interamente o parzialmente il tessuto corneale: con la Cheratoplastica Perforante si sostituiscono tutti gli strati corneali; con la Cheratoplastica Lamellare solo la porzione di cornea compromessa. Per alcune patologie che danneggiano in modo irreversibile la superficie della cornea, cioè l’epitelio corneale comprese le cellule staminali del limbus, l’intervento deve essere preceduto da un innesto di cellule staminali autologhe (cosiddetto Trapianto di Cellule Staminali). 

Le cellule staminali del limbus vengono  prelevate dall'occhio controlaterale sano e , attraverso una sofisticata procedura, moltiplicate in laboratorio e disposte su uno strato di fibrina e quindi inviate in sala operatoria per poter procedere all’intervento chirurgico di  ricostruzione della superficie corneale.

I dati più recenti della letteratura evidenziano che la percentuale complessiva di sopravvivenza del lembo innestato, cioè la capacità della cornea trapiantata di rimanere trasparente e di restituire all'occhio operato una visione migliore, è circa 90% a un anno, ma scende al 74% a 5 anni, e al 62% dopo 10 anni ed è fortemente influenzata dalla patologia di base di colui che riceve il trapianto. E’ noto infatti che nel caso del cheratocono, la più frequente causa di trapianto in Italia, la sopravvivenza del trapianto è molto migliore di quanto si può osservare nella cheratite erpetica o nella cheratopatia bollosa, altre frequenti cause di trapianto di cornea.

 

Cheratoplastica Perforante


La Cheratoplastica Perforante (PKP) è la prima tecnica di trapianto di cornea storicamente eseguita fin dagli anni ‘50 del secolo scorso. E’ ancora la tecnica più diffusa nel mondo e consiste nella sostituzione di una porzione centrale (di circa 8 mm di diametro), a tutto spessore, della cornea danneggiata con un lembo corneale trasparente e sano di donatore. Questo viene suturato al letto corneale periferico dell’ospite mediante suture continue o a punti staccati in Nylon 10/0. 

Il recupero visivo dopo PKP può essere più o meno rapido ed i risultati, in termini di acuità visiva, possono essere ottimi e con un completo recupero.

L’intervento viene generalmente eseguito in anestesia loco regionale o generale ed ha una durata variabile in funzione della complessità del caso da trattare.

In alcuni non frequenti casi, si possono verificare delle complicanze  legate alla procedura chirurgica  che viene eseguita a bulbo aperto, alla comparsa di infezioni di natura batterica o virale sulla cornea trapiantata, all’infiammazione od a problemi connessi con la sutura del lembo.

Tecniche di Cheratoplastica Lamellare

Tecniche di Cheratoplastica Lamellare

La cheratoplastica lamellare ha come scopo la sostituzione della sola porzione di cornea danneggiata, al fine di preservare il più possibile il tessuto corneale originale sano ed insieme l’integrità oculare.

Si possono distinguere due principali tecniche di Cheratoplastica Lamellare: la Cheratoplastica Lamellare Anteriore e la Cheratoplastica Lamellare Posteriore o Endoteliale a seconda che venga selettivamente rimossa la porzione anteriore o posteriore del tessuto corneale.

Cheratoplastica Lamellare Anteriore

Cheratoplastica Lamellare Anteriore

Questa tecnica consente di sostituire gli strati anteriori della cornea, dall’epitelio fino allo stroma profondo, e vengono eseguiti  in funzione della sede dell’opacità del tessuto malato. 

E’ possibile, con l’ausilio di apparecchiature quali il microcheratomo ed il più moderno  laser a femtosecondi, eseguire dei tagli sulla cornea ricevente e sul lembo del donatore a profondità predeterminata in modo da eseguire un trapianto selettivo. Si tratta di una nuova frontiera della chirurgia corneale che consente di minimizzare il trauma sul ricevente operando a “bulbo chiuso”.  

La Cheratoplastica Lamellare Anteriore (acronimo in ligua inglese: ALK) si esegue per rimuovere cicatrici ed opacità del tessuto corneale  entro uno spessore che non superi i 300-400 micron. Attualmente il laser a femtosecondi, che consente di tagliare con estrema precisione la cornea, rappresenta lo strumento di elezione per eseguire questa chirurgia anche se il microcheratomo o la stessa tecnica manuale rappresentano una valida alternativa. 

La Cheratoplastica Lamellare Anteriore Profonda (acronimo in lingua inglese: DALK) consiste nella sostituzione della quasi totalità del tessuto corneale. Si tratta di una tecnica introdotta dal medico saudita  Dr. Anwar nel 2002 e poi ben sviluppata soprattutto in Italia.

Le indicazioni chirurgiche principali sono il Cheratocono, le distrofie eredo familiari e le cicatrici corneali superficiali e profonde in seguito a traumi o infezioni.

Esistono varie tecniche di DALK, in base alla modalità con cui viene rimossa la porzione anteriore della cornea ospite, ovvero manualmente (“big bubble” technique) o meccanicamente (con microcheratomo) o mediante laser (laser ad eccimeri o a femtosecondi). Tutte le tecniche hanno come scopo la rimozione dello tessuto malato fino all’endotelio in modo da creare un’interfaccia, su cui suturare il lembo trapiantato, il più possibile omogenea per garantire una migliore qualità visiva post-operatoria. Attualmente i migliori risultati si ottengono con la tecnica manuale di scollamento del tessuto corneale fino allo strato Descemet-endotelio attraverso l’iniezione di una bolla d’aria o di sostanza viscoelastica (big-bubble technique). 

Il principale vantaggio del trapianto lamellare DALK sta nell’evitare  le più importanti cause di fallimento della chirurgia perforante come il rigetto immunologico e lo scompenso tardivo della cornea trapiantata aumentando così la durata del trapianto stesso.

Cheratoplastica Lamellare Posteriore o  Endoteliale

Cheratoplastica Lamellare Posteriore o  Endoteliale

Da alcuni anni, grazie alle applicazioni tecniche del Prof. Gerrit Melles di Rotterdam e del Prof. Mark Terry di Portland, sono state introdotte nella pratica clinica una serie di tecniche che vanno sotto il nome di Cheratoplastica Endoteliale (EK). Oggigiorno, la tecnica di EK principe è la DSAEK (acronimo di Descemet Stripping Endothelial Automated Keratoplasty) che consiste nella rimozione del solo endotelio della cornea del paziente e nella sua sostituzione con un  lenticolo di 8-8,5 mm. di diametro di tessuto corneale ed endotelio sano di donatore .

L’indicazione chirurgia alla DSAEK è la distrofia di Fuchs o la cheratopatia bollosa .  Si tratta di patologie che interessano primitivamente l’endotelio e, nei casi tardivi, portano alla perdita della trasparenza  corneale. Oggi, grazie proprio alla DSAEK, è possibile intervenire in uno stadio precoce della malattia garantendo un elevato successo terapeutico, in termini di qualità e stabilità visiva, e una notevole riduzione dei rischi connessi all’atto chirurgico.

I vantaggi della cheratoplastica lamellare posteriore rispetto alla cheratoplastica perforante sono numerosi: il recupero visivo è molto rapido, in genere dopo uno-tre mesi dall’intervento il paziente ha un recupero visivo utile; in più l’intervento non necessita di suture, eliminando così tutte le complicanza legate alle stesse, tra le quali gli astigmatismi elevati e le erosioni o infezioni della superficie corneale e soprattutto rispetta l’integrità del bulbo e ne mantiene quasi inalterata la  tolleranza ad eventuali traumi. Il rischio di rigetto del lembo trapiantato, sia pur sempre presente, sembra essere inferiore ma, nel caso in cui la cornea trapiantata vada verso uno scompenso, la sostituzione del lembo endoteliale è più rapida e semplice della sostituzione di una cornea a tutto spessore

Quali sono i sintomi di rigetto corneale

Quali sono i sintomi di rigetto corneale

Il rigetto si manifesta all'inizio con sintomi molto lievi, quali offuscamento della vista, lieve fastidio alla luce e leggero arrossamento dell'occhio: se questi sintomi compaiono all'improvviso e persistono o peggiorano nell'arco di alcuni giorni, è importante recarsi immediatamente dal proprio oculista, perché la tempestività con cui viene iniziata la terapia è fondamentale nell'evitare danni irreversibili al trapianto.

Il rischio di rigetto aumenta quando l'occhio si infiamma, pertanto bisogna fare attenzione a tutte quelle situazioni che possono determinare arrossamento dell'occhio operato, come gli ambienti fumosi, il vento, la polvere, le sostanze irritanti.

 

Trapianto di Cellule Staminali

La superficie della cornea è ricoperta da un epitelio multistrato di cellule trasparenti , che viene mantenuto e costantemente rinnovato per azione delle cellule staminali presenti ai suoi margini in una zona chiamata limbus corneale.

Le cellule staminali sono cellule parzialmente o totalmente indifferenziate e dotate di un'enorme capacità proliferativa. Possono essere distinte in: cellule embrionali (cellule presenti nella prima fase dello sviluppo) e cellule staminali dell'adulto (cellule presenti in molti, forse in tutti i tessuti dell'organismo umano). Le cellule staminali dell'adulto sono in grado di proliferare per tutta la vita nell'organismo. Esse producono, con meccanismi noti solo in parte, sia altre cellule staminali, che cellule differenziate (specializzate) del tessuto di appartenenza, e in qualche caso anche di altri tessuti.

Quando le cellule staminali della cornea vengono danneggiate da sostanze chimiche, traumi meccanici, infezioni, abuso di lenti a contatto, può determinarsi un grave danno all'occhio con l'opacizzazione della cornea. In questi casi, il solo trapianto di cornea non è sufficiente, in quanto se le cellule staminali del limbus sono state danneggiate, in mancanza di un epitelio in grado di rinnovarsi, la cornea trapiantata tornerà in breve tempo a perdere la trasparenza.

È quindi necessario prima del trapianto ricostruire la superficie corneale, tramite un innesto di cellule staminali autologhe, prelevate dall'occhio sano del paziente e moltiplicate in laboratorio in modo da ottenere una quantità sufficiente per ricoprire la superficie della cornea. 

In una piccola zona tra cornea e congiuntiva, il limbus sclerocorneale, viene prelevata una lamella di 1 mm di tessuto nel quale risiedono le cellule staminali. Questo prelievo richiede 10-15 minuti e si esegue in anestesia topica. Le cellule prelevate vengono inviate ad un laboratorio specializzato nella colture cellulari. Al termine della fase di amplificazione e di coltura (2-3 settimane circa) e dopo gli opportuni controlli, sulla cornea malata vengono innestate le cellule coltivate. 

L'intervento viene eseguito solitamente in anestesia locale. Dopo alcuni mesi si ha la conferma definitiva della riuscita dell'innesto, cioè del ripristino della superficie oculare. L'oculista può quindi valutare al termine di questo percorso se effettuare l'eventuale trapianto di cornea.

l glaucoma è una malattia che colpisce il nervo ottico, fascio di fibre nervose che trasmette gli impulsi elettrici derivati da stimoli visivi al cervello ed è causato da un continuo aumento della pressione intraoculare.

Nell’occhio colpito da glaucoma il deflusso dell’umore acqueo è ostacolato: il liquido si accumula e la pressione intraoculare comincia a salire. Dopo qualche tempo si produce una compressione o uno schiacciamento del nervo ottico con conseguente danno e morte delle fibre nervose.

La lesione del nervo ottico si traduce in una progressiva alterazione del campo visivo, il quale tende progressivamente a restringersi fino alla sua completa scomparsa.

Se le fibre del nervo ottico vengono danneggiate, all’interno del campo visivo si generano delle zone (scotomi) in cui non è più possibile vedere.

 

Gli scotomi sono inizialmente molto piccoli

interessano dapprima la parte periferica del campo visivo (il paziente continuerà a vedere nitidamente al centro) ma vengono spesso notati quando il danno al nervo ottico è già abbastanza considerevole.

Quando le cellule nervose sono completamente distrutte la perdita della vista diventa definitiva ed irreversibile.

Il glaucoma può colpire chiunque e una volta insorto, anche se curato, rimarrà per sempre. Il solo modo per prevenire la perdita della vista è la diagnosi precoce.

È quindi molto importante sottoporsi a visite periodiche di controllo a scopo preventivo (soprattutto dopo aver superato i 40 anni) anche se non ci sono sintomi.

Esistono alcuni fattori di rischio che possono aumentare la probabilità di sviluppare la malattia:

 
fattori di rischio

Età avanzata

 
fattori di rischio

Traumi oculari

 
fattori di rischio

Predisposizione ereditaria

 
fattori di rischio

Diabete

 
fattori di rischio

Ipertensione sistemica

 
fattori di rischio

Miopia

Tipologie di Glaucoma

Il glaucoma è distinto in primario e secondario.

Per primario si intende il glaucoma provocato da alterazioni del sistema trabecolare, per secondario quello che insorge in seguito ad altre patologie oculari o generali (indipendenti cioè dal funzionamento del sistema di deflusso dell’umore acqueo).

 
Il glaucoma
cronico ad angolo aperto

Il glaucoma cronico ad angolo aperto è il tipo più comune ed è dovuto ad una sorta di invecchiamento del sistema trabecolare di deflusso: l’umore acqueo raggiunge il trabecolato, ma non viene sufficientemente filtrato in quanto quest’ultimo è strutturalmente alterato (ostruzione dei canali di scarico).

 
Il glaucoma
ad angolo chiuso

Nel glaucoma ad angolo chiuso l’umore acqueo non riesce a raggiungere il sistema trabecolare di deflusso perchè l’angolo formato da iride e cornea è troppo stretto: l’iride si addossa lentamente alla cornea ostruendo completamente il passaggio.

 
Il glaucoma
a pressione normale

Il glaucoma a pressione normale progredisce nonostante la pressione intraoculare sia entro limiti apparentemente normali. Si ritiene che tale forma di glaucoma sia da mettere in relazione ad uno scarso apporto di flusso sanguigno al nervo ottico, che provoca l’atrofizzazione delle fibre nervose.

 
Il glaucoma
a pressione normale

Il glaucoma a pressione normale progredisce nonostante la pressione intraoculare sia entro limiti apparentemente normali. Si ritiene che tale forma di glaucoma sia da mettere in relazione ad uno scarso apporto di flusso sanguigno al nervo ottico, che provoca l’atrofizzazione delle fibre nervose.

 
Il glaucoma
a pressione normale

Il glaucoma a pressione normale progredisce nonostante la pressione intraoculare sia entro limiti apparentemente normali. Si ritiene che tale forma di glaucoma sia da mettere in relazione ad uno scarso apporto di flusso sanguigno al nervo ottico, che provoca l’atrofizzazione delle fibre nervose.

 
Il glaucoma
a pressione normale

Il glaucoma a pressione normale progredisce nonostante la pressione intraoculare sia entro limiti apparentemente normali. Si ritiene che tale forma di glaucoma sia da mettere in relazione ad uno scarso apporto di flusso sanguigno al nervo ottico, che provoca l’atrofizzazione delle fibre nervose.

La sindrome di esfoliazione, che colpisce il cristallino, è spesso causa di glaucoma: alcuni strati del cristallino si sfaldano ed i vari frammenti si depositano sul trabecolato, otturandone le fessure, o vanno ad ostruire l’angolo tra iride e cornea.

Il glaucoma congenito

Nel caso di glaucoma congenito, l’angolo di drenaggio è anomalo sin dalla nascita. Il bambino presenta un’eccessiva lacrimazione e una forte sensibilità alla luce, un ingrossamento del globo oculare e un’opacità della cornea.
Questa condizione deve essere trattata subito dopo la nascita da specialisti in questo settore.

Diagnosi di Glaucoma

Diagnosi di Glaucoma

Il fattore di rischio più importante per il glaucoma è l’età, oltre ad eventuali fattori ereditari. Superati i 40 anni è quindi consigliabile effettuare, anche in assenza di sintomi, una visita oculistica completa.
Alcuni esami devono essere ripetuti ad intervalli regolari per riconoscere precocemente un segno di glaucoma.

La tonometria

La tonometria

E’ la misurazione della pressione oculare (tono oculare). Si tratta di un esame rapido ed indolore. Al paziente viene somministrato un collirio anestetico ed applicato un colorante fluorescente; un piccolo cono di materiale plastico, annesso al biomicroscopio, viene poi appoggiato sulla cornea. La misurazione della pressione viene ottenuta mediante un’illuminazione con luce blu. I valori normali sono intorno ai 20- 21 mmHg.

Uno strumento più recente, il tonometro a soffio, permette uno screening della pressione intraoculare con un lieve getto d’aria sulla superficie oculare. La curva tonometrica giornaliera prevede la misurazione della pressione oculare ripetuta varie volte nell’arco di una giornata: ciò permette di rivelarne le variazioni.

L’oftalmoscopia

L’oftalmoscopia

L’oftalmoscopia permette l’osservazione diretta della retina e del punto in cui il nervo ottico si collega al bulbo oculare (papilla).
In caso di glaucoma, il nervo ottico appare alterato nel colore e nella forma; il bordo della papilla è più sottile del normale per l’atrofizzazione delle fibre con un’escavazione al centro.

La perimetria

La perimetria

E’ un esame computerizzato del campo visivo, consente di valutare lo stato della funzione visiva globale del paziente. L’esame risulta in una mappa perimetrica, in cui i difetti glaucomatosi, gli scotomi, sono rappresentati dalle aree più scure. Lo scotoma rappresenta il danno funzionale delle fibre nervose retiniche.

La gonioscopia

La gonioscopia

La gonioscopia consente l’esplorazione dell’angolo di scarico dell’umore acqueo (angolo irido-corneale). Dopo aver anestetizzato l’occhio con un collirio anestetico, al paziente viene applicata una speciale lente a contatto contenente uno specchio che permette all’oculista di osservare se l’angolo di drenaggio sia aperto o chiuso.
La diagnostica per immagini ha a disposizione esami in grado di misurare quantitativamente gli strati delle fibre nervose e la morfologia della papilla ottica.

OCT

OCT

L’OCTpermette di visualizzare gli strati della retina fornendone delle immagini dettagliate che ne evidenziano le minime alterazioni.
Non c’è contatto tra la sonda e le strutture dell’occhio, ma solo un raggio luminoso che in pochi secondi ottiene una mappa retinica ad alta risoluzione.

HRT-II

HRT-II

Anche l’HRT-II (tomografo retinico laser Heidelberg) è utilizzato per misurare lo spessore dello strato delle fibre nervose del nervo ottico.
L’esame risulta in molti casi più sensibile dell’esame del campo visivo nell’individuare danni precoci del nervo ottico, è indolore e non riciede la dilatazione della pupilla.

La pachimetria corneale

La pachimetria corneale

La pachimetria corneale è la misura dello spessore della cornea. È stato dimostrato l’esistenza di un rapporto tra le variazioni di pressione intraoculare e spessore corneale che normalmente misura al centro circa mezzo millimetro (520-540 m).

L’esame si esegue in modo rapido e con minimo disagio per chi vi si sottopone, ma richiede sofisticate apparecchiature. La metodica più diffusa sfrutta tecniche di ecografia monodimensionale (A-scan) con apposite sonde ad alta frequenza. Per l’esecuzione dell’esame si instilla una goccia di collirio anestetico nell’occhio e si appoggia sulla cornea una sonda simile ad una piccola penna.

Il Trattamento del Glaucoma: Terapia Medica e Chirurgica

Il Trattamento del Glaucoma: Terapia Medica e Chirurgica

A fine ottocento il glaucoma era curato solo con la pilocarpina.

A partire dal 1970 nuovi farmaci sono stati elaborati per il trattamento di questa patologia.Sebbene non possa essere curato, il glaucoma può essere ben controllato con una terapia adeguata. E’ importante ricordare che il controllo e il trattamento della malattia continueranno per tutta la vita

Inizialmente il glaucoma viene trattato con farmaci sotto forma di colliri che abbassano la pressione intraoculare. Quando la terapia medica non è più sufficiente, si ricorre al trattamento laser e/o all’intervento chirurgico.

Tale graduale sequenza viene seguita quando la diagnosi è fatta precocemente ed il glaucoma progredisce lentamente. Nei casi giudicati gravi si ricorre immediatamente al trattamento laser o a quello chirurgico.

Terapia Medica

I colliri antiglaucoma hanno lo scopo di ridurre la quantità di umore acqueo all’interno dell’occhio, abbassando quindi la pressione intraoculare.

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Colliri Miotici

I colliri miotici agiscono sulla pupilla, restringendola
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Beta Bloccanti

i beta bloccanti riducono la produzione di umore acqueo da parte del corpo ciliare;
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Simpaticomimetici adrenergici

i simpaticomimetici adrenergici incrementano il deflusso trabecolare e uveosclerale
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Alfa 2 agonisti adrenergici

gli alfa 2 agonisti adrenergici riducono la produzione di umore acqueo;
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Derivati dalle prostaglandine

i derivati dalle prostaglandine e prostamidi incrementano il deflusso uveosclerale
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Anidrasi carbonica

gli inibitori della anidrasi carbonica riducono la produzione di umore acqueo.

Ogni farmaco ha quindi un particolare meccanismo di azione a livello della circolazione e/o della produzione dell’umore acqueo.

Se la terapia a base di colliri non basta, si ricorre anche all’assunzione di farmaci per via orale.
La durata d’azione di questi farmaci è limitata nel tempo: è quindi molto importante che vengano assunti con regolarità (se passa troppo tempo tra una istillazione e l’altra la pressione oculare aumenta) e con il dosaggio stabilito dal medico.

Se devono essere assunti più colliri alla stessa ora, è bene attendere qualche minuto tra la somministrazione del primo e quella del secondo.
Altrettanto importante è sottoporsi a regolari controlli in quanto solo così il medico sarà in grado di stabilire se la terapia è efficace o meno.

Come tutti i farmaci, anche questi colliri possono causare effetti collaterali (bruciore e arrossamento oculare, annebbiamento della vista e cefalea).

In certi casi (beta bloccanti) interferiscono con l’attività cardiorespiratoria, per questo è fondamentale far conoscere al medico oculista i problemi personali di salute e le eventuali terapie cui ci si sta sottoponendo.

Calcoli renali, asma, bronchite cronica, allergie ed aritmie cardiache sono tra le malattie in cui l’uso di farmaci che abbassano la pressione oculare può essere rischioso.
Inoltre è bene che il paziente informi il proprio medico di famiglia di essere in trattamento per il glaucoma; alcuni tranquillanti, antiasmatici o farmaci per l’apparato digerente devono essere usati con precauzione per il loro possibile effetto sulla pressione oculare.
Infine si ricorda ai pazienti affetti di glaucoma che l’assunzione di liquidi, acqua compresa, in quantità esagerata ed in tempi troppo ravvicinati può contribuire all’aumento della pressione oculare (questo vale anche per bevande contenenti caffeina).